5 ottobre 2010

188.0) Prodotti "made in carcere". Lavorare vale "la pena".

Prodotti "made in carcere".
Lavorare vale "la pena".

«La maggior parte dei carcerati conduce una vita pigra e noiosa, in cui alzarsi dal letto diventa un optional; solo una minima parte dei detenuti è impegnata in qualche attività lavorativa in prigione.
Quando il detenuto non lavora e passa in cella 20 ore su 24, è spesso soggetto a crisi depressive con conseguenze tragiche a volte come il suicidio.
Questo dicono gli operatori del carcere ed è indubbio che abbiano ragione.

E allora in carcere facciamoli lavorare questi detenuti.
In Italia non tutte le case di pena sono in grado di offrire al detenuto una specie di riscatto sociale attraverso il lavoro, ma è su questo tasto che deve puntare la pur necessaria e urgente riforma carceraria.

Il lavoro in carcere
può essere svolto sia alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, sia alle dipendenze di imprese o cooperative sociali esterne che hanno lo scopo di aiutare i detenuti a reinserirsi nella società civile una volta terminata la pena da scontare.
Esso non deve essere gratuito ma retribuito anche se non necessariamente come nella vita esterna ma al punto che il giudice del lavoro abbia competenze sulle controversie che possono sorgere tra l’istituzione penitenziaria e il detenuto.

Il lavoro ha la capacità di d indurre mutamenti positivi nella persona che sta in carcere. Si è visto che il detenuto inserito in un programma di lavoro cambia sensibilmente, diventa meno rancoroso, inizia una nuova vita.
Intanto ricevendo una contrattuale, se pur modesta busta paga si sente di nuovo utile e spesso soprattutto gli extracomunitari riescono a mandare qualche soldo a casa.  (50 o 100 euro in Italia non sono niente, ma altrove è molto diverso).
Il lavoro dietro le sbarre può costituire l’inizio di un cammino di presa di coscienza della colpa commessa e della scoperta, da parte dei detenuti, di poter trovare anche in carcere «una mezza libertà».
L’attività lavorativa durante il periodo di reclusione è considerata dagli studiosi del sociale una modalità vera e concreta di recupero dei detenuti.
Sono le stesse testimonianze di alcuni di loro a dimostrarlo: -“ io fuori ero abituato a lavorare. Quando sono arrivato qui, i primi tempi non avevo niente da fare e la testa andava per i fatti suoi ed avevo i pensieri più orribili del mondo.  Avevo toccato il fondo. Il lavoro invece ti permette non solo di essere impegnato, ma di guadagnare anche qualcosa per te e la tua famiglia».
I dati parlano chiaro: ad esempio, il tasso di recidività degli ex detenuti che hanno lavorato presso la falegnameria del carcere di Monza è, pari a zero.


Ma quali lavori si possono far fare ai carcerati all’interno del carcere?
I carcerati si possono far lavorare nella stamperia del carcere, nella sartoria nell’assemblaggio di parti di macchinari complessi,  inoltre possono partecipare a corsi per apprendere ad esempio la professione di cuochi, etc.
In carcere si può avviare la produzione di  prodotti “made in carcere”quali biscotti, vino, olio, miele, zafferano, conserve alimentari, magliette e capi sartoriali di alta qualità, ferro battuto, libri, agende, computer recuperati e riassemblati e molto altro,

C’è l’esempio del carcere di Busto Arsizio.

Cuochi, giardinieri, muratori e altro.
Sono solo alcune della attività lavorative che i detenuti del carcere di Busto Arsizio possono svolgere.

E c’è l’esempio del carcere di Padova, dove è sorto un laboratorio di alta pasticceria artigianale e cartotecnica di raffinata eleganza.


Alla “Casa di Reclusione” di Padova i detenuti non imparano solo un mestiere, ma partecipano ad un esempio di imprenditoria sociale che attraverso il lavoro, il gusto e la bellezza, permette loro di riscoprire il senso della vita.
Così, nella pasticceria artigianale, i reclusi del carcere impastano e sfornano panettoni, colombe e altre prelibatezze per palati fini, mentre i “colleghi” del laboratorio di cartotecnica lavorano di precisione e con ricercata perizia per confezionare scatole ed altri oggetti di pregio.

Tutto ciò grazie alla formazione e all’accompagnamento al lavoro svolti dai maestri pasticceri della Cooperativa Sociale Work Crossing, e dai maestri cartai della Cooperativa Sociale Giotto che realizzano i progetti per l’inserimento lavorativo dei detenuti, ideati e coordinati dal Consorzio Sociale Rebus.
Tanto impegno e grande professionalità hanno permesso di raggiungere livelli di qualità di assoluta eccellenza. Eccellenza che è stata riconosciuta dall’Accademia Italiana della Cucina che ha riconosciuto alla pasticceria del carcere il suo prestigioso "Piatto d’Argento", premio assegnato solamente ai migliori chef italiani.
La pasticceria ed il laboratorio di cartotecnica non sono che due delle attività che il Consorzio Rebus sta sviluppando all’interno della Casa di Reclusione di Padova.
Accanto ad esse vi sono anche gli assemblaggi per la valigeria Roncato e la gioielleria Morellato, il call center che attualmente svolge il servizio di prenotazione delle visite mediche per conto dell’ASL di Padova, senza tralasciare i manichini per l’alta moda che ormai hanno fatto il giro del mondo.


L’esempio del carcere di padova
Sito web
i dolci di Giotto


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