Il Ciùe
Veniva chiamato Ciùe (dalla parola Ciù = maiale) un assistente che di nome faceva Mansueto , e mai nome fu più appropriato essendo egli veramente una persona gentile , educata e buona.
Di norma egli non era un assistente nel vero senso del termine ma lo faceva solo saltuariamente, in sostituzione di qualche altro assistente ammalato o assente per vari motivi, perché in realtà egli dirigeva la calzoleria del Trofio, cioè ci riparava gratis, a tutti noi , le scarpe o i sandali o gli zoccoli man mano che si rompevano o consumavano.
In calzoleria con lui aveva quali aiutanti due o tre ragazzi che imparavano da lui il mestiere, e di uno di questi , che si chiamava mi pare Attilio, so per certo che è diventato poi un bravo calzolaio nella vita e con questo mestiere ha potuto crearsi e mantenere decorosamente una numerosa famiglia.
Orbene, questo Ciùe era soprannominato così prima di tutto perché ognuno di noi, all’interno del Trofio, aveva un soprannome, poi perché era un tipo bassotto e tarchiato, diciamo rotondetto, e qualcuno di noi da subito lo chiamò “maialino” e da allora per noi fu il “Ciùe.”
Una volta questo sig. Mansueto, mentre ci stava facendo da assistente durante un intervallo scolastico tra una lezione e l’altra, ebbe un bisogno fisiologico e dovette recarsi in bagno. Fu allora che subito tra noi ci passammo parola e in quattro, senza farci notare lo seguimmo .
Bisogna sapere che i bagni del Trofio erano allora alla turca, cioè erano una serie di sgabuzzini messi uno a fianco all’altro, senza il water ma con della ceramica per terra , nella quale si apriva un buco per i bisogni fisiologici.
C’erano i bisogni corti , che si facevano stando in piedi e con la porta aperta alle spalle, e c’erano i bisogni lunghi per i quali era necessario chinarsi fin quasi a sedersi sull’orlo del buco e chiudere, per discrezione, la porta del bagno con un catenaccio.
Data la sua mole il Ciùe, che entrava appena appena nello sgabuzzino del bagno, in quell’occasione, dovendo fare un bisogno corto, aveva come al solito lasciata aperta la porta dello sgabuzzino alle sue spalle.
Subito noi, per un tacito accordo , mentre stava facendo i suoi bisognini, lo spingemmo violentemente sulla schiena scaraventandolo contro la parete di fondo del bagno facendolo scivolare per terra in mezzo ai suoi liquidi, e poi ridendo e urlando come matti ce la demmo a gambe.
Al termine dell’intervallo ci recammo nell’aula scolastica per riprendere le lezioni.
Non erano trascorsi dieci minuti quando improvvisamente la porta della classe si spalancò, e tra lo stupore del professore, il sig. Mansueto entrò e in perfetto silenzio prelevò a muso duro dal proprio banco di studio i quattro di noi che gli avevano causato quel bello scherzetto.
Facendo violenza al proprio nome e senza pronunciare parola, egli in quell’occasione ce ne diede tante, ma tante, ma tante che ancora oggi me ne ricordo.
Non si è mai saputo come abbia fatto a riconoscerci per venire a prelevarci così con sicurezza , visto che non aveva potuto vederci mentre lo spingevamo contro il muro nel cesso.
Ma forse ci aveva riconosciuto dal timbro della voce e dalle risate di soddisfazione per l’impresa compiuta che facevamo mentre ce ne scappavamo via.
Caro signor Ciùe, a ripensarci adesso eri un grande e ti ringraziamo per il bel ricordo di questo fatterello.
Che Dio ti abbia in gloria.
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