il Don Minghì.
C’era in quegli anni in Spagna o in Portogallo un torero famoso che si chiamava Dominguin, le cui foto e gesta apparivano sui giornali, e che mi pare abbia anche sposato una grande attrice italiana.
E c’era al Trofio un prete che studiava lo spagnolo e che si dava arie con noi di saper parlare lo spagnolo e ogni tanto gli piaceva stupirci con delle parole spagnole.
Così, ( storpiando il nome del grande torero). lo chiamammo Don Minghì
Per queste sue arie da saputello era un prete abbastanza antipatico a noi tutti e forse anche agli stessi suoi confratelli religiosi.
Una volta, al termine della ricreazione, essendo venuto l’orario di recarci nello studio per finire i compiti e ripassare le lezioni per l’indomani, essendo lui l’assistente, ci mise in fila, e passandomi accanto sentì che io puzzavo di fumo di sigaretta.
"Tu hai fumato" – mi disse, ed io che avevo appena allora finito di fumare una sigaretta rinchiuso e nascosto dentro lo sgabuzzino di un cesso, stupito nel sentirmi scoperto , mi misi a negare tale fatto aggredendolo verbalmente con frasi del tipo: "- E lei come fa a saperlo? Ma chi si crede di essere? Solo perché sa qualche parola di spagnolo mi viene ad accusare di cose che io non ho mai fatto? La smetta o le spacco il muso!"-
Al povero Don Minghì, oggi lo riconosco, non rimase altro da fare , per ristabilire la sua autorità davanti a tutti, che assicurarmi che ero un bugiardo , in quanto la puzza di sigarette che mi avvolgeva si sentiva lontano un miglio, e si mise a strattonarmi cercando di far uscire dalle mie tasche il pacchetto di sigarette incriminato.
Ma io resistevo, ed allora egli perse completamente la testa e si mise ad inveire contro di me dicendo che ero un bugiardo e che ero lì in quel collegio perché mia madre era certamente una puttana etc. etc. etc.
Smise improvvisamente di gridarmi contro perché con un pugno ben azzeccato al volto gli feci uscire del sangue dalla bocca e dal naso.
Rimase talmente stupito dalla mia reazione che, quando gli saltai addosso gridandogli che “Lui la mia mamma la doveva lasciare stare , perché non era degno neppure di nominarla-" si lasciò picchiare e prendere a pedate sia da me che da altri miei compagni che avevano deciso di darmi una mano nella ribellione.
Naturalmente al baccano di questa rissa accorsero anche altri assistenti in difesa del povero Don Minghì, e per quella sera io saltai la cena e fui messo in castigo dal direttore Don Walter, al buio fuori della camerata fino alle due di notte, quando forse ormai impietosito mi si avvicinò e mi disse di andare a dormire.
Qualche giorno dopo fui espulso dal collegio per una decina di giorni , ma mi ricordo che il Direttore obbligò prima il Don Minghì e mia madre e a parlare tra loro , a spiegarsi e a scusarsi reciprocamente.
Quando, al termine del castigo, rientrai in Orfanotrofio, uno degli assistenti che più mi vollero bene e che più mi aiutò correggendomi i compiti di ragioneria e ripassando con me le lezioni per vedere se avevo studiato , fu proprio questo Don Minghì, e di lui, ancora oggi conservo un ricordo benevolo.
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